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PEGGY SUE SI È SPOSATA
(PEGGY SUE GOT MARRIED)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 marzo 1987
 
di Francis Ford Coppola, con Kathleen Turner, Nicolas Cage, John Carradine, Jim Carrey, Helen Hunt (Stati Uniti, 1986)
 

"Le esigenze imperative della pubblicità, e quelle non meno determinanti della comodità, hanno fatto in modo che tutti abbiano parlato dell'ultimo film di Coppola come di una nuova specie di Ritorno al futuro. Ora, le due opere hanno pochissimo in comune: solo il trucchetto, l'espediente di un aneddoto, che permette ad un personaggio di ritornare nel tempo, di rivivere il passato cosciente di quanto avverrà in futuro. Le similitudini sono tutte qui, alle premesse: poi, il film di Zemackis rimane un modesto grosso spettacolo, quello di Coppola un notevole piccolo film.

Coppola ha fatto due sorta di film: quelli grandi, mitologici, visionari, che firma aggiungendo "Ford" tra il nome ed il cognome. Sono IL padrino, Apocalypse now o Cotton Club. E poi quelli annunciati come minori (e poi sempre sorprendenti, tipici di un cineasta che ha sempre fatto qualcosa di nuovo, di non conforme alle attese) come One from the heart, Outsiders, Rumble fish ed ora questo pegGY Sue. Girato forse per tornare a dimensioni più modeste, dopo il fallimento di Cotton Club, e quasi contemporaneamente al più ambizioso Gardens of stone che sarà a Cannes.

Ma la modestia, in un grande artista qual è certamente Coppola, non significa miseria: può voler dire, quando è accompagnata dalle mille piccole attenzioni che circondano questo film (l'interpretazione vibrante ed affettuosa, una scenografia d'impressionante atemporalità, che situa l'azione negli anni sessanta ma che potrebbero essere quaranta o venti l'abituale maestria nella cura della luce, che proietta subito la faccenduola dal banale al memorabile), delicatezza e pudore, intelligenza e lucidità.

Cosa fa infatti Coppola, non appena rispedito indietro nel tempo la sua vibrante Kathleen (solo un po' grassottella per apparire veramente ragazzina, ma in compenso miracolosamente in equilibrio fra le esitazioni dell'adolescente e i rifiuti consapevoli della donna)? Certo, si diverte con qualche gag di situazione (come svelare l'avvento dei "collant" o della guerra contro i coloranti nelle caramelle), ma soprattutto s'impegna a non farci ripiombare nell'ennesima rivisitazione mitica dei felici anni d'adolescenza. Ci sono, in Peggy Sue, gli istanti incantati: il re-incontro con i genitori, l'insopportabile sorellina, la camera d'infanzia, i nonni, la scuola. Ma, ben presto, il sogno ridiviene realtà: e la protagonista, come tutte quelle dei film di Coppola, ritrova la propria solitudine. Una solitudine che è la medesima, lontana dai facili incanti dei film per adolescenti di quella di tutta un'America: vivere il sogno medio borghese di trovare un fidanzato formare una famiglia, far nascere dei figli, guadagnare dei soldi.

Peggy Sue è cosciente del fatto che il futuro marito, qui ancora allo stadio dl pre-fidanzato, fallirà miseramente tutti gli obiettivi: ma il trucco cinematografico che gli permetterebbe di rifarsi il destino è, appunto soltanto un trucco. Noi spettatori e lei soltanto, lo sappiamo: questa consapevolezza finisce per vincere le nostre ultime resistenze. E, completamente, saremo con lei fino all'inevitabile ritorno nel futuro. Con lei divideremo la medesima visione di un mondo angusto se non oppressivo, di una filosofia di vita che ci preclude ogni margine di manovra legandoci nella provincia delle illusioni. Con lei, infine, rinunceremo ai due archetipi della riuscita del sogno americano: il Tecnico (al quale Peggy Sue suggerisce qualche scoperta degli anni a venire), e l'Intellettuale (col quale, più pragmaticamente, si concede brevi piaceri non soltanto spirituali). E risceglieremo il Cantante, al quale non sarà nemmeno sufficiente inculcare uno dei maggiori successi dei futuri Beatles per modificargli il destino.

Peggy Sue, lo avrete capito, è quello che una volta avremmo definito un tenero "divertissement": oggi, per tante ragioni, perché il cinema è fatto di grandi macchine, ci appare come una delicata e preziosa, intelligentemente modesta, opera di meditazione sul ruolo inalterabile del tempo."


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